“Brindisi esca dal guado”
La nota di Gianfranco Solazzo – Cisl
Se pandemia, guerra, inflazione, crisi energetica fanno da freno, nel Paese e specie nel Mezzogiorno, ad investimenti produttivi in grado di determinare occupazione aggiuntiva, ovviamente legale e contrattualizzata, risulta davvero mortificante la persistenza di conflitti ideologici e/o istituzionali che mettono in evidenza Brindisi sempre ed esclusivamente per quanto sia difficile e complicato investire in questo territorio.
Che si tratti oppure no di investimenti green, il messaggio comunemente percepito è che qui latita alquanto lo spirito di accoglienza e, per giunta, ci sarà sempre qualcuno che renderà la vita difficile a qualcun altro.
E’ questo, ad esempio, quanto sta accadendo con la questione Act Blade, l’azienda che intende produrre pale eoliche con tecnologia innovativa.
Come Cisl non abbiamo mai inteso tifare per questa o per quell’altra parte politico/istituzionale, perché abbiamo sempre parteggiato per gli unici soggetti in campo, cioè lavoratrici e lavoratori, primariamente coinvolti in una transizione epocale che interesserà ogni settore produttivo, privato o pubblico che sia.
Ed abbiamo più volte evidenziato pubblicamente il nostro sogno di vedere Brindisi – città e territorio – attrattore e contenitore di investimenti, così che i nostri giovani sperino in un futuro in cui il lavoro buono e dignitoso si confermi un diritto costituzionale e non una chimera; la stessa per cui essi si vedono costretti ad una emigrazione forzata, e non certo a ritornare dopo aver abbandonato affetti personali e comunitari per cercare altrove eccellenze di studio, di formazione e di realizzazione di sé.
Al riguardo, siamo con Papa Francesco, quando sollecita gli Stati e gli attori del mondo imprenditoriale a “creare opportunità di lavoro dignitoso con salari equi”.
Dovrebbe, oltretutto, essere responsabilità di chi amministra fermare l’attuale emorragia di residenti atteso che le province del Mezzogiorno, specie della Puglia e, particolarmente, del brindisino continuano a perdere residenti, per un numero che oscilla tra le tremila e le quattromila l’anno.
E allora, si smetta di giocare partite cruenti come tra guelfi e ghibellini e si marci nella stessa direzione facilitando chiunque sia pronto ad investire su Brindisi, che ha bisogno di difendere il lavoro che c’è e soprattutto crearne di nuovo specie se si tratta, appunto, di lavoro buono, sostenibile e caratteristico di quella transizione ecologica cui tutti siamo chiamati a rispondere.
Porto e retro porto rappresentano una opportunità imprescindibile, il cui sviluppo va aiutato e non già ostacolato.
Il Sud del Paese ha fame di investimenti ovunque e, a ben guardare, ci sono porti e retro porti dei quali Brindisi non ha l’esclusiva e sarebbero pronti ad accogliere quanto qui viene impedito.
Le risorse del Pnrr, al contempo, non hanno tempi indefiniti ma necessitano di velocità di decisioni, di progettazioni e di cantierizzazioni ed è anche per questo che risulta necessario fare squadra.
Da qui la necessità di pace istituzionale, perché di guerre ormai è pieno il mondo ed ora anche l’Europa con perdite di vite umane, esodi interminabili e una drammatica crisi energetica, senza precedenti storici, che da fine febbraio scorso sta mettendo in ginocchio imprese e famiglie.
Istituzioni, enti pubblici, amministrazioni comunali, sono chiamati a collaborare con le parti sociali per fare di Brindisi realmente un hub energetico strategico per il Paese,.
Non va sottovalutato che gli investitori in energie rinnovabili ci stanno mettendo le risorse economiche, come dimostra l’ulteriore opportunità offerta dall’investimento previsto della Falck Renewables in partnership con BlueFloat Energy, per 80 torri di eolico off shore galleggianti.
Il territorio ci metta, a sua volta, le risorse immateriali dell’accoglienza, azzerando burocrazia e complicazioni amministrative inutili che danno l’impressione di rispondere più a prese di posizioni di principio che a reali necessità normative.
Autorità portuale, Zes, istituzioni locali, sono di fatto obbligate ad operare con unità d’intenti; l’alternativa sarebbe il fallimento economico ed istituzionale dell’intero sistema, il cui prezzo più alto sarebbe pagato dai nostri giovani e da lavoratrici e i lavoratori, moltissimi dei quali già coinvolti in vertenze e cassa integrazione.